Credo che a molti di coloro che si occupano di Chirurgia Estetica faccia difetto – probabilmente a causa della presunzione – il senso della realtà, la capacità di rimanere con i piedi per terra e soprattutto, la capacità di capire la gente.
Tuttavia, se si vogliono curare i pazienti offrendo risultati tangibili, validi ed efficaci – non soltanto paroloni altisonanti e promesse mirabolanti e vuote – bisogna essere pratici e realistici: non ogni procedura “di moda” al momento, non tutto ciò che viene imposto come “l’ultimo ritrovato in campo estetico” si dimostra, alla prova dei fatti, realmente affidabile ed efficace.
Se, quindi, i fatti provano che una determinata metodica NON “funziona” costantemente, NON bisogna tentantivamente adottarla, anche se – e a maggior ragione se – tutti ne parlano tanto e si sprecano i megacongressi e le “recentissime pubblicazioni” sull’argomento.
In questi casi, aldilà delle chiacchiere, più o meno accademiche, a me, in particolare, interessa soltanto sapere cosa pensano realmente delle nuove metodiche i pazienti sui quali sono state adottate.
Ad esempio, la stragrande maggioranza dei pazienti sottoposti a lipofilling NON è affatto soddisfatta dei risultati ottenuti con l’iniezione di grasso. E questo è un dato di fatto che, per me, conta molto di più di qualsiasi congresso e di qualsiasi pubblicazione scientifica, in quanto a) è un dato sicuramente attendibile; b) è un importante campanello di allarme, che, secondo scienza e coscienza, deve indurre il medico onesto, oggettivo e di buon senso ad un sano scetticismo critico.
Perché i pazienti non sono soddisfatti degli interventi di lipofilling?
Tre sono le lamentele più comuni:
1. “Dottore, il grasso che mi ha iniettato non è durato e non vedo alcuna differenza rispetto a prima dell’intervento.”
2. “Dottore, ho un aspetto innaturalmente gonfio.”
3. “Dottore, le zone nelle quali ha iniettato il grasso appaiono bitorzolute.”
E’ oggettivamente innegabile che, quasi vent’anni dopo l’introduzione nella pratica chirurgica della tecnica della “lipostruttura”, descritta da Coleman, ancora oggi le procedure di lipofilling, benché estesamente adottate, continuino ad essere gravate in tutto il mondo da complicanze frequenti, evidenti ed inevitabili – 1) riassorbimento elevato del grasso innestato (dal 10% al 90%); 2) ipercorrezione; 3) irregolarità superficiali – che comportano costante insoddisfazione nei pazienti e necessità di reinterventi.
Cosa è un “lipofilling”? In pratica, nel corso di un intervento di lipofilling, un certo quantitativo di tessuto adiposo viene aspirato dal sottocute delle sedi donatrici del paziente – generalmente a livello delle cosce – mediante siringhe dotate di cannule. Il grasso aspirato viene quindi centrifugato e, successivamente, infiltrato nei tessuti dello stesso paziente, sempre mediante siringhe e cannule, per colmare dei difetti a carico del tessuto adiposo sottocutaneo, superficiale e/o profondo.
I trattamenti di lipofilling sono spesso proposti dai chirurghi ai loro pazienti per volumizzare e migliorare l’aspetto di glutei, cosce, polpacci, mani, seno e viso. Il lipofilling viene anche finalizzato a correggere un profilo corporeo alterato da precedenti interventi di liposcultura e di mastoplastica, oppure da eccessivo dimagrimento, da senescenza o da continua esposizione alle radiazioni UV.
Sono state condotte indagini estese ed approfondite, tendenti ad evidenziare le conseguenze sui risultati – che, come ho detto, si sono dimostrati molto spesso scadenti ed insoddisfacenti, perché gravati dalle complicanze suddette – delle tecniche di prelievo, di preparazione e di infiltrazione del tessuto adiposo nelle aree riceventi, indagini basate sulle caratteristiche istologiche dello stesso tessuto adiposo dopo l’innesto e sulla percentuale di riassorbimento nel periodo post-operatorio.
Di fatto, tali studi hanno dimostrato e confermato, sia sul piano metabolico sia su quello istologico, che la maggior parte delle cellule adipose iniettate – per quanto le percentuali varino notevolmente – sono già morte prima ancora di essere introdotte nel contesto dei tessuti riceventi, in conseguenza dello stress chirurgico che le cellule adipose stesse subiscono nel corso del prelievo, della preparazione e della stessa infiltrazione.
A questo proposito, va evidenziato un principio oggettivo ed incontrovertibile, che tutti i chirurghi dovrebbero ben conoscere e tenere sempre a mente: la sopravvivenza di un tessuto innestato dipende in modo critico dalla vitalità delle sue cellule al momento dell’innesto stesso.
Come mai questo sacrosanto principio viene sistematicamente ignorato da chi adotta la metodica del lipofilling?
Dato che il tessuto adiposo innestato è costituito da un numero di cellule adipose morte superiore al numero delle cellule adipose viventi, come possiamo aspettarci che il numero delle cellule viventi, subito dopo l’innesto, possa improvvisamente aumentare, colmando del tutto la perdita numerica prodotta dalle cellule morte e che, d’altra parte, le cellule morte spariscano contemporaneamente e con la stessa rapidità, sì da consentire all’innesto adiposo, nella sua totalità, di sopravvivere interamente e di mantenere il volume originario?
In questo contesto, va anche tenuto in considerazione il fatto che, dopo l’innesto, nei pazienti sottoposti a lipofilling varia di molto anche la percentuale di attecchimento della stessa quota di cellule adipose presenti nella sede ricevente al momento dell’inoculo e sopravvissute alle manovre di prelievo, di preparazione e di infiltrazione.
Infatti, tali cellule, per quanto siano state introdotte ancora vive nella sede ricevente, dopo l’intervento riescono a sopravvivere in condizioni di ipossia – ossia prima che, nella stessa sede ricevente, avvenga la rivascolarizzazione della massa di tessuto adiposo trasferito nella sede ricevente – per il brevissimo periodo di due giorni.
Pertanto se, entro il tempo massimo di due giorni dall’intervento, nuovi vasi sanguigni non si formano in numero sufficiente e non ossigenano adeguatamente le cellule adipose trasferite e sopravvissute nella sede ricevente, una quota più o meno elevata di tali cellule (variabile in base alla entità della rivascolarizzazione), pur essendo vitale al momento dell’infiltrazione, successivamente non sopravvive e muore.
Ciò che in seguito accade alle cellule adipose morte, presenti in percentuali variabili nelle sedi riceventi, dipende dalla quantità di queste stesse cellule.
Le cellule adipose, appena muoiono, “scoppiano”, ossia subiscono la “lisi” (la rottura) delle membrane cellulari.
In conseguenza di ciò, il loro contenuto, costituito prevalentemente da trigliceridi – ossia, in sostanza, da “olio” – si riversa al di fuori delle cellule morte, nell’ambiente extracellulare della sede ricevente.
Pertanto, nel contesto dei tessuti della sede ricevente, si forma una raccolta oleosa, il cui volume può variare di molto, a seconda del numero di cellule adipose morte e lisate.
Se il volume della raccolta oleosa non è eccessivo, le cellule del sistema immunitario del paziente riescono a rimuovere, goccia dopo goccia, la raccolta stessa. Ciò, ovviamente, comporta una riduzione di volume, di entità imprevedibile e variabile – dal 10% al 90%, come ho detto – della massa di tessuto adiposo iniettata nella sede ricevente durante l’intervento di lipofilling.
Da questo fenomeno dipende la prima complicanza lamentata dai pazienti sottoposti a lipofilling, ossia il riassorbimento del grasso innestato.
1. “Dottore, il grasso che mi ha iniettato non è durato e non vedo alcuna differenza rispetto a prima dell’intervento.”
Se, invece, il volume della raccolta oleosa è tale che le cellule del sistema immunitario non riescono a rimuoverla, i trigliceridi della raccolta stessa stimolano una risposta infiammatoria da parte dei tessuti della sede ricevente, detta “panniculite lobulare”.
In genere, in conseguenza della panniculite, la raccolta oleosa viene circondata da una capsula fibrosa, più o meno spessa. Si forma in tal modo una cisti grassa, di dimensioni più o meno elevate ma, in genere, superiori al volume del tessuto adiposo iniettato.
Tale cisti, formatasi immediatamente al di sotto della cute della sede ricevente, diviene visibile ed appare come una tumefazione rotondeggiante e voluminosa, che non si modifica nel tempo.
Da questo fenomeno dipende la seconda complicanza lamentata dai pazienti sottoposti a lipofilling, ossia l’ipercorrezione.
2. “Dottore, ho un aspetto innaturalmente gonfio.”
In altri casi, si può verificare una “panniculite multilobulare”, che comporta la formazione, nella sede ricevente, di cisti grasse multiple, le quali, a loro volta, danno luogo alla terza complicanza lamentata dai pazienti, ossia le irregolarità superficiali:
“Dottore, le zone nelle quali ha iniettato il grasso appaiono bitorzolute.”
A quanto detto va aggiunto che le cisti grasse, singole o multiple, oltre ad essere visibili, perché comportano ipercorrezione ed irregolarità superficiali, in molti casi sono anche palpabili, perché di consistenza più o meno dura.
In molti casi, la consistenza delle capsule e del contenuto, in seguito a successivi processi di fibrosi e di calcificazione del tessuto fibrotico, può diventare addirittura lignea.
Infine, la calcificazione delle microcisti adipose che in alcuni casi si formano nel tessuto mammario, dopo lipofilling del seno, può comportare immagini radiografiche opache, che mimano quelle dei carcinomi mammari.
Le tre complicanze sopra citate sono quasi costanti: praticamente, non passa giorno senza che veda pazienti i quali hanno subito interventi di lipofilling e non sono contenti dei risultati per i motivi suddetti.
Tuttavia, in altri casi – fortunatamente più rari – si possono verificare complicanze ancora più gravi.
Ad esempio, sono state descritte gravi infezioni, con conseguente formazione di raccolte purulente saccate, dovute a contaminazione batterica delle raccolte oleose formatesi in seguito a lisi delle membrane delle cellule adipose iniettate.
Inoltre, si sono verificate embolie adipose, alcune delle quali fatali, in pazienti nei quali, durante l’intervento, è stato erroneamente iniettato un bolo adiposo in un vaso sanguigno.
Infine, sembra che le cellule adipose staminali, presenti nel tessuto adiposo iniettato, possano produrre fattori di crescita in grado di indurre lo sviluppo di carcinoma mammario, nei casi in cui il grasso iniettato venga a contatto con il tessuto ghiandolare.
Si sente spesso dire che l’efficacia degli interventi di lipofilling e l’incidenza di complicanze dipenda dalla tecnica adoperata.
C’è, ad esempio, chi sostiene che le quantità di tessuto adiposo da iniettare debbano essere minime, per ottenerne la rivascolarizzazione completa. Pertanto, sono state descritte tecniche di mini-tunnellizzazione sottocutanea tridimensionale e crociata, di mini-tunnellizzazione intra-muscolare e di micro-tunnellizzazione subdermica.
Altri sostengono che la centrifugazione del tessuto aspirato vada evitata, proprio per evitare di danneggiare irreparabilmente le cellule da iniettare.
Altri infine sostengono la necessità di isolare dal tessuto adiposo prelevato solo le cellule staminali, presenti nel suo contesto, e di iniettare quindi esclusivamente cellule staminali, in grado di proliferare attivamente una volta iniettate e, pertanto, produrre una quantità elevata di tessuto adiposo vitale nella sede ricevente.
Tuttavia, sottoposte a vaglio critico, tutte queste metodiche appaiono tutte caratterizzate dalla mancanza di standardizzazione.
Di fatto, i risultati, vantati da alcuni operatori ma che non sono ottenibili da parte di numerosi altri operatori, per quanto adottino la stessa tecnica, sono da considerare aneddotici, sul piano scientifico, proprio perché non costantemente riproducibili: perché mai, infatti, la stessa tecnica dovrebbe dare risultati costantemente positivi se adottata da alcuni ed invece risultati costantemente negativi se adottata da tutti gli altri?
In conclusione, ritengo che, in atto, il lipofilling si debba considerare una metodica dai risultati non correttamente prevedibili, gravata da complicanze – alcune delle quali anche gravi – non prevedibili.
Non escludo, ovviamente, che nel futuro le procedure correlate al lipofilling possano migliorare, al punto da consentire di standardizzare la tecnica, di ottenere risultati costantemente positivi e riproducibili e di rendere le complicanze prevedibili ed evitabili.
Ciononostante, in attesa che questo avvenga, molto più di ciò che si dice nei congressi e che si legge nei libri e nelle riviste scientifiche, per me contano le parole dei pazienti:
1. “Dottore, il grasso che mi ha iniettato non è durato e non vedo alcuna differenza rispetto a prima dell’intervento.”
2. “Dottore, ho un aspetto innaturalmente gonfio.”
3. “Dottore, le zone nelle quali ha iniettato il grasso appaiono bitorzolute.”